Un buco nel canale di scarico di emergenza e 200mila persone hanno dovuto lasciare le loro case. L’incidente che ha visto protagonista la diga di Oroville, 250 chilometri a Nord di San Francisco, è un campanello d’allarme per tutto il sistema idroelettrico californiano e riporta in primo piano l’urgenza del piano annunciato dal Presidente Donald Trump che dovrebbe prevedere un trilione di dollari di investimenti sulle infrastrutture Usa.
E infatti nel corso di un briefing con la stampa successivo all’incidente, il press secretary della Casa Bianca, Sean Spicer, ha ribadito che il Presidente segue con estrema attenzione l’evoluzione dei fatti e ha aggiunto: «La situazione è un esempio perfetto del perché al Congresso abbiamo bisogno di approvare un ampio pacchetto di interventi sulle infrastrutture : dighe, ponti, strade e tutti i porti del paese che sono caduti in rovina».
La California, da parte sua, ha già elaborato un calcolo presentando un piano di interventi sul proprio sistema infrastrutturale da 100 miliardi di dollari, nel quale è compresa la manutenzione del sistema idrico dello stato.
Il problema è ampio perché all’interno dello stato sono presenti 1.585 dighe. Di queste, secondo il National Inventory of Dams redatto dallo United States Army Corps of Engineers, 17 sono in condizioni pessime e potrebbero quindi rappresentare – come nel caso di Oroville – un rischio per la loro stessa tenuta.
La vicenda Oroville è significativa per capire la gravità del problema. Già nel 2005 alcuni gruppi ambientalisti lanciarono un allarme sulle condizioni di sicurezza della diga. Oroville Dam è la diga più alta degli Stati Uniti (234 metri), è stata costruita tra il 1962 e il 1968, ed è la principale fonte di acqua per gli agricoltori della Central Valley, per la California del Sud e per la Bay Area. Secondo le rilevazioni dei tecnici intervenuti per mettere in sicurezza la crepa che si è aperta nello scarico di emergenza dell’impianto, il danno è stato creato per le forti piogge che, nelle settimane precedenti al fatto, hanno riempito l’invaso al 151% della sua capacità.
Oltre al rischio rappresentato da una possibile rottura definitiva dello scarico, che avrebbe fatto riversare l’acqua sulle comunità cittadine adiacenti, il caso Oroville ha riaperto il dibattito perché la maggior parte delle dighe californiane è stata costruita negli anni ’50 e ’60 e oggi ha bisogno di interventi urgenti.
Intervistato dal “New York Times”, Peter H. Gleick, fondatore del Pacific Institute, un think tank specializzato sui temi dell’acqua, ha dichiarato: «Non stiamo mantenendo le infrastrutture idriche in modo adeguato. Non lo stiamo facendo a Flint, nel Michigan, e non lo stiamo facendo con le grandi dighe in California. Dobbiamo spendere più soldi e più tempo per farlo».
I rischi sono elevati e pochi ricordano quando il 12 marzo del 1928 la St. Francis Dam, simbolo dell’eccellenza ingegneristica californiana, collassò uccidendo oltre 400 persone.
«Si tratta di un problema nazionale per noi – spiega al “New York Times” Lori Spragens, direttore esecutivo della Association of State Dam Safety Officials – la maggior parte delle dighe hanno 50 anni di età. E molte di esse sono molto indietro nella manutenzione e necessitano di essere adeguate agli standard odierni».
Come per l’incidente di Oroville, il tema è divenuto di stringente attualità proprio quest’anno, per via delle consistenti piogge che si sono abbattute sullo stato, dopo un lungo periodo di siccità. Ma quello delle precipitazioni piovose non è l’unico rischio per le dighe californiane. Il pericolo terremoti, per una regione particolarmente instabile, è sempre dietro l’angolo e in particolare – secondo quanto riporta il “New York Times” – la Anderson Dam e la Calaveras Dam, entrambe vicine a San Jose, correrebbero rischi elevati in caso di scosse sismiche per via delle loro condizioni. Anche se la diga californiana che oggi sembra essere ridotta in condizioni peggiori è quella costruita negli anni ’50 sul lago Isabella. Proprio in vista del rischio terremoti, le autorità californiane hanno imposto in questo caso l’abbassamento del livello dell’acqua raccolta nell’invaso, un intervento momentaneo che non è sufficiente a mettere in sicurezza l’infrastruttura, per la quale sarebbero necessari investimenti per 500 milioni di dollari.
Denari che non ci sono perché l’attuale dotazione costituita tanto dai fondi federali quanto da quelli statali è troppo bassa per rispondere alle esigenze di messa in sicurezza del sistema idrico della California, e di molti altri stati americani.
Secondo l’ultima rilevazione statistica elaborata dalla Association of State Dam Safety Officials, per il 2016 in tutti gli Stati Uniti sono stati messi a budget 49 milioni di dollari per la manutenzione delle 90mila dighe presenti. La California, che è lo stato che vanta gli investimenti più elevati, si ferma a 13 milioni di dollari.
Un dato significativo che conferma l’urgenza di investire subito per fare in modo che l’incidente di Oroville rimanga solo un caso isolato.