Se un giorno un viaggiatore, ispirandosi all’incontrastato menestrello d’America, Woody Guthrie, decidesse di attraversare in lungo e in largo gli Stati Uniti per raccontarne paesaggi e gesta, avrebbe certo di che scrivere ancora epiche ballate. Omaggio ad una natura sempre sterminata - dalle infinite praterie ai sontuosi campi di grano, da massicce catene montuose a drammatici litorali oceanici che già popolano l’inno più famoso di Guthrie: “Questa terra è la tua terra”.
Ma un tributo tutto speciale andrebbe pagato all'altrettanto vasta ambizione che ha mosso e muove le opere per mano dell’uomo. Chitarra - o computer portatile - in spalla, questo novello cantore degli Stati Uniti potrebbe affidare a note e strofe creazioni leggendarie e nuove dell’ingegneria e dell’estro industriale, da dighe e tunnel a strade e ponti. Un network di gigantesche infrastrutture che ha avuto gli albori nell’800, e la spinta decisiva negli anni del New Deal e della Seconda Guerra Mondiale. A volte, certamente, invecchiato e che rappresenta però il vero tessuto connettivo del paese. Sono interventi che spesso scatenano intense discussioni sulle priorità da rispettare e che, stando al genio civile statunitense, potrebbero richiedere spese ingenti, oltre 4,5 trilioni di dollari entro il 2025 (come calcolato dall’ASCE), per assicurare la corretta manutenzione e aggiornamento di quanto già esiste. Ma non sono miraggi, perché si inseriscono in una lunga tradizione di opere che ha segnato un’epoca. Inizia così il viaggio in due puntate di “We Build Value” raccontando alcune delle più iconiche infrastrutture americane. Un viaggio che parte dalla East Coast.
Il Brooklyn Bridge
Un viaggio “on the road”, consuetudine di per sé americana come la torta di mele, muove necessariamente i primi passi dalla costa orientale, dalla capitale economica New York City. Qui si erge oggi come ieri il Brooklyn Bridge, che più della Statua della Libertà caratterizza lo skyline della città. Il ponte che collega Manhattan, la sua downtown e centro finanziario oggi rinati dopo il dramma dell’11 settembre 2001, al popoloso quartiere di Brooklyn, è strallato e sospeso sopra l’East River, con i suoi 486 metri di lunghezza e la sua elevazione di 84 metri dall’acqua raggiunta nel punto più alto. Iniziato nel 1869 e completato 14 anni dopo, è anche tra i più antichi ponti nel Paese capaci di ospitare traffico stradale, nonché il primo al mondo realizzato utilizzando cavi in acciaio. Tutti numeri che gli hanno permesso di entrare dal 1964 nel registro dei monumenti nazionali. Proprio New York è tuttavia patria anche di alcuni dei più importanti nuovi progetti in preparazione, anzitutto nei trasporti e collegamenti. Il Gateway Program intende ridisegnare ferrovie e tunnel tra New York e New Jersey, attraverso il fiume Hudson, con un investimento di 7,5 miliardi di dollari, mentre la modernizzazione del gigantesco terminal degli autobus di Port Authority e dell’aeroporto La Guardia dovrebbe richiedere 8 miliardi.
Erie Canal
Restando a oriente, ancora a New York ha le radici una delle originali infrastrutture che cambiarono il volto del Paese. Lo Erie Canal fu parte essenziale di quel New York State Canal System che, nei suoi giorni di gloria, si estendeva da est a ovest per quasi 600 chilometri scorrendo per aree rurali. Un sistema che collegava la città di Buffalo dove si trovano i Grandi Laghi, al confine con il Canada e con il Midwest industriale, alla capitale dello stato Albany, e, sfruttando il fiume Hudson, arrivava poi all’Oceano Atlantico e alla città di New York. Il Canale Erie, ultimato nel 1825, aveva all’epoca il vanto di essere il secondo più lungo al mondo alle spalle soltanto del Grand Canal in Cina. Una via d’acqua navigabile che divenne pilastro di modernità e boom economici e il cui ruolo fu celebrato nel 2000 con la designazione del canale come Erie Canalway National Heritage Corridor, per quelle che erano state le sue doti di fenomenale successo ingegneristico.
Route 66
Con un passaggio deciso a Nordovest, verso l'Illinois e il Midwest, si possono trovare le tracce originali di un’altra, successiva, grande opera nei collegamenti: la US Route 66. Nota come la Mother Road, la madre delle highway, delle autostrade americane. Immortalata da romanzi, a cominciare dall’epopea della Grande Depressione “Furore” di John Steinbeck, e da canzoni; ribattezzata Main Street of America; quel nastro d'asfalto fu inaugurato nel 1926, nerbo di un sistema interstatale che si sviluppò nel Secondo Dopoguerra sotto la spinta tanto di obiettivi civili che militari (facilitare il trasporto di truppe e armamenti in un paese esteso quanto gli Stati Uniti). Il percorso originale vedeva la Route 66 correre dagli storici grattacieli di Chicago, attraverso il Midwest e il Sud della nazione, in direzione ovest, legando assieme il Missouri, il Kansas, l’Oklahoma, il Texas, il New Mexico, l’Arizona. Per finire a Santa Monica, sobborgo oggi prestigioso di Los Angeles. Era il simbolo stesso dei lunghi viaggi, volontari o forzati per ragioni economiche, di generazioni di americani. Negli anni ha conosciuto molteplici cambiamenti e reincarnazioni e nel 1985 è stata tolta dal sistema autostradale, lo United States Highway System, e rimpiazzata da nastri d’asfalto più moderni. Sopravvive però grazie a numerosi tratti preservati in stati quali l’Illinois e il New Mexico, con il nome di “Historic Route 66” ed è stata designata National Scenic Byway.
La Route 66 è nata come parte del National System of Interstate and Defense System che - pur avendo radici nel 1916, cioè negli anni della Prima Guerra Mondiale - prese il nome dal presidente dell’immediato Dopoguerra, Dwight Eisenhower, che lo formalizzò definitivamente negli anni Cinquanta. La rete delle Interstate fu completata 35 anni più tardi ad un costo stimato di circa 500 miliardi di dollari e ad oggi consiste in quasi 80.000 chilometri di autostrade e ponti, dove si muove un quarto dell’intero traffico di veicoli statunitense.