Nel maggio scorso, la Japan Bank for International Cooperation ha proposto la nascita di un consorzio sino-giapponese per costruire la linea ferroviaria dell’alta velocità in Tailandia. Se l’idea dovesse andare in porto sarebbe il primo caso di consorzio costituito da imprese cinesi e giapponesi impegnate in un paese terzo. Un caso pionieristico dal quale partire per superare la storica rivalità e stringere un’alleanza saldata intorno allo sviluppo delle infrastrutture.
Una rivalità, per esercitare il controllo geopolitico sulla regione del Sud Est Asiatico, che si manifesta come una sfida commerciale e industriale, combattuta a colpi di tecnologia, innovazione e prezzi competitivi, e giocata sul terreno delle infrastrutture. Ad affrontarla, non solo i colossi delle costruzioni dei due paesi, ma gli stessi governi che da anni stanziano fondi pubblici per finanziare la realizzazione di grandi opere nella regione.
Adesso questo scontro si fa più acceso perché nei prossimi anni verranno assegnate fette consistenti di una torta multimiliardaria. La Asian Development Bank ha calcolato che i paesi del Sud Est Asiatico dovranno spendere tra il 2016 e il 2030 nelle infrastrutture 2,8 trilioni di dollari (184 miliardi di dollari l’anno), con l’Indonesia che guida questa classifica con 1,1 trilioni da spendere entro quel termine. La stessa Indonesia, il paese attualmente più attivo nello sviluppo infrastrutturale, conta 250 cantieri di grandi opere aperti; le Filippine hanno pianificato investimenti per 180 miliardi di dollari, da spendere nella costruzione di ferrovie, strade e aeroporti; Singapore sta raddoppiando la sua rete di trasporto su ferro.
Questo enorme mercato, nel quale vive mezzo miliardo di persone, alimenta la sfida industriale tra Cina e Giappone.
Una sfida a colpi di miliardi
Colmare il gap infrastrutturale è un imperativo per molti paesi del Sud Est Asiatico, che da un lato stanno destinando quote importanti dei loro Pil per sostenere la costruzione di grandi opere e dall’altro cercano investitori internazionali disposti a entrare in partnership nei progetti più importanti.
Secondo l’istituto BMI Research, dall’inizio degli anni Duemila, il Giappone ha finanziato progetti nella regione (completati o ancora in corso) per un totale di 230 miliardi di dollari e la Cina per 155 miliardi.
Soprattutto negli ultimi anni la Cina ha esportato i propri prodotti infrastrutturali insieme alla tecnologia in tutta l’Asia, e lo stesso ha fatto il Giappone.
Il segno più visibile di questa competizione è stato quello dell’alta velocità ferroviaria. Nel 2015 una società giapponese è stata battuta da una concorrente cinese in una gara da 5 miliardi di dollari per la costruzione del treno ad alta velocità che collegherà Jakarta a Bandung, in Indonesia.
La risposta del Giappone è arrivata lo stesso anno quando aziende del Sol Levante si sono assicurate un appalto da 15 miliardi di dollari per la costruzione di una linea ferroviaria veloce in India, tra le città di Bombay e Ahmedabad. E il medesimo copione si è ripetuto in Tailandia, dove sono attualmente presenti imprese provenienti da entrambi i paesi.
La competizione si gioca colpo su colpo e mentre le aziende prendono parte alle più importanti gare pubbliche, i governi operano con tutte le risorse disponibili.
Così, mentre la Cina ufficializzava la nascita della AIIB (Asian Infrastructure Investment Bank) nel dicembre del 2015 con una dotazione iniziale di 100 miliardi di dollari, il Giappone rispondeva nel maggio dello stesso anno istituendo la Partnership for Quality Infrastructure (PQI), ideata proprio per lanciare progetti moderni e innovativi nei paesi asiatici.
Da parte sua, il Giappone vanta una maggiore tradizione e una presenza storica nel settore in molti paesi asiatici. Tuttavia questo vantaggio è stato eroso negli ultimi anni dalla Cina che, con il lancio di alcuni megaprogetti come la Belt and Road Initiative, ha colmato il ritardo e si è messa alla pari nella sfida per la leadership della regione.
Alle radici di un confronto continentale
Il Giappone ha iniziato a investire su progetti di larga scala nel Sud Est Asiatico già dagli anni ’70, grazie alla presenza di aziende multinazionali operanti nel settore che hanno portato lavoro e trasferito competenze. Questo è accaduto in alcune delle più importanti città del continente, come Bangkok e Giacarta. Nel 2010 questa strategia è stata condensata all’interno del rapporto “The Comprehensive Asia Development Plan” realizzato dal Japan’s Economic Research Institute e commissionato dallo stesso governo giapponese. Secondo il rapporto la strategia di sviluppo infrastrutturale del paese segue tre direttive: l’East-West Economic Corridor, che va dal Vietnam fino alla Tailandia; il Mekong-India Economic Corridor, che corre invece da Ho Chi Minh City a Bangkok; e infine il Maritime ASEAN Economic Corridor, che dovrebbe puntare sullo sviluppo dei porti, collegando Brunei, Indonesia, Malesia, Singapore e Filippine.
La Cina, da parte sua, inaugura la sua strategia di sviluppo infrastrutturale nella regione molto più tardi del Giappone. I primi interventi risalgono agli inizi degli anni Duemila. La spinta forte è arrivata poi nel 2013 con l’annuncio da parte del presidente cinese Xi Jinping della Belt and Road Initiative (BRI) che comprende al suo interno la Maritime Silk Road e la Silk Road Economic Belt.
Obiettivo del piano è realizzare un collegamento ferroviario di oltre 5mila chilometri che colleghi la Cina con il Sud Est Asiatico.
Dalle infrastrutture alla geopolitica
Considerato il valore strategico delle opere realizzate, la sfida sulle infrastrutture devia facilmente nel campo della geopolitica. Tanto il Giappone quanto la Cina sgomitano per accrescere la loro sfera di influenza nei paesi dell’ASEAN, e lo fanno stringendo di volta in volta partnership e accordi commerciali con governi diversi.
Ma nonostante la rivalità sia ancora forte, negli ultimi mesi entrambi i governi hanno mostrato segni di un interesse nel trovare un punto di incontro attraverso strategie e progetti condivisi.