Quando si parla di strade, c’è pavimentazione e pavimentazione. Una cosa è posizionare l’asfalto per una semplice autostrada, altra è ricoprire la superficie di una pista da corsa con una curvatura unica come quella della Daytona International Speedway, la culla del circuito NASCAR negli Stati Uniti.
Costruita nel 1958 a Daytona Beach, in Florida, lungo un percorso di 2,5 miglia, la Daytona 500 è l’evento principale della National Association for Stock Car Auto Racing (NASCAR) che apre ogni anno la stagione delle corse.
Divenuta un tempio per i fan NASCAR, la pista di Daytona è entrata nella cultura popolare, avendo ispirato anche un gran numero di pellicole cinematografiche tra cui “Giorni di Tuono” con Tom Cruise, oltre ad aver ospitato negli anni tre visite presidenziali.
Per queste ragioni non dovrebbe sorprendere nessuno se qualunque grande azienda specializzata nel settore si sentisse intimidita dall’idea di lavorare sul circuito dei circuiti.
«Non si tratta di una comune pista da corse» si legge all’interno del “The Daytona Project”, il libro pubblicato dalla Lane Construction Corporation, la controllata statunitense di Salini Impregilo che otto anni fa ha realizzato la nuova pavimentazione del circuito. «Demolire e ripavimentare la Daytona International Speedway non è stato un lavoro ordinario, non solo per le sue dimensioni, ma anche per le caratteristiche dell’area, la velocità del tracciato e l’impatto emotivo che suscita con i suoi fan».
La spina dorsale del NASCAR
Nonostante Lane vanti nel suo passato diverse esperienze nella pavimentazione di circuiti automobilistici, come il Talladega Superspeedway a Talladega, in Alabama, la complessità del lavoro ha raggiunto in Florida un livello più elevato, e non solo per l’attenzione forte da parte dei media, dei fan e dei piloti. «Questo non è un semplice circuito – commenta nel libro il campione 2007 della Daytona 500, Kevin Harvick – questo è la spina dorsale del nostro sport».
Tra i molti compiti che aveva nella preparazione del lavoro, Lane ha dovuto realizzare tre tipi di miscele di cemento e asfalto adatte per il tracciato, e allo stesso tempo trovare un modo per posizionarlo sulle curve paraboliche che hanno un’inclinazione di 31 gradi. E soprattutto ha dovuto fare il tutto in meno di sei mesi in modo da garantire che il tracciato fosse pronto per l’apertura della stagione, che sarebbe iniziata nel febbraio del 2011.
L’inclinazione delle curve è così estrema da permettere alle macchine di affrontarle a tutta velocità e la gradazione scelta – come spiega il libro – non è casuale. «Quando il tracciato è stato costruito – ha spiegato l’ingegnere Bill Braniff – gli ingegneri hanno notato che l’angolo di riposo della sabbia era di 31 gradi, e così hanno scelto per il sistema di tracciamento un angolo di 31 gradi in modo che fosse in equilibrio sulla massa di terreno sottostante, senza esercitare un’indebita pressione sulla superficie di gara».
Daytona 500: da una buca a un cratere
Nel 2010 Lane ha vinto la gara indetta dalla North American Testing Company (NATC), il braccio operativo e ingegneristico della International Speedway Corporation, dopo che una buca sul tracciato era diventata tanto grande da non poter più essere ignorata. Era iniziata come un piccolo avvallamento tra la curva 1 e la curva 2, ma con il passaggio delle auto durante la Daytona 500 è divenuta sempre più grande fino a obbligare gli organizzatori a sospendere la gara per permettere l’intervento degli operai della manutenzione. Nonostante la gara sia potuta ripartire, la necessità di un intervento sul tracciato era ormai evidente per ciascuno.
Una volta al lavoro, il primo intervento è stato quello di togliere il vecchio asfalto dal tracciato, questo perché, realizzare una nuova pavimentazione sopra la precedente – come era stato già fatto nel 1978 – non era più un’opzione realizzabile. Per tutto il tempo di apertura del cantiere l’attenzione dall’esterno è stata elevatissima. I fan raggiungevano la pista per osservare i lavori sul letto del circuito, le televisioni locali alzavano in cielo elicotteri per riprendere dall’alto. Tale era il livello di interesse dell’opinione pubblica che alcuni pezzi del vecchio asfalto sono stati venduti come souvenir.
Gli operai hanno poi lavorato alla ricerca della giusta mistura cemento-asfalto-polimeri sottoponendola all’approvazione della NATC. Dal momento che l’idea era quella di mettere uno sull’altro quattro strati, era necessario trovare la mescola giusta per ciascuno dei quattro.
Questa complessità deriva dal fatto che ogni strato ha una sua funzione: il primo facilita il drenaggio, affinché l’umidità che penetra nella pavimentazione possa essere espulsa da questo strato più profondo di asfalto; il secondo ha invece una funzione respingente, mentre sulla parte esterna ci sono i due ultimi strati, necessari per fare il giusto livellamento alla pista e contenerne l’usura. In definitiva, un’area superiore a 528.000 piedi quadrati è stata pavimentata. Considerata la grandezza del progetto, gli operai hanno utilizzato un enorme impianto mobile di mescolamento dell’asfalto in grado di seguire le macchine impegnate nella pavimentazione che si muovevano lentamente lungo il percorso.
Il processo di mescola è iniziato da un lato dell’impianto con quattro contenitori di aggregato, o di rocce di varie misure. Essiccato e riscaldato, l’aggregato è stato gettato in una camera di miscelazione e dopo l’approvazione della miscela in laboratorio, l’aggregato veniva portato in un silos di contenimento dove le quantità misurate erano versate in autocarri a cassone ribaltabile. L’impianto era in grado di produrre 400 tonnellate di asfalto mescolato all’ora, equivalenti a oltre tre camion carichi.
Invece, per pavimentare le curve paraboliche, gli esperti hanno pensato a un innovativo sistema di pavimentazione e rullo in modo da evitare che potessero scivolare verso il basso della pista. Per farlo hanno posizionato i bulldozer fuori dal muro di cinta, sulla parte più alta delle paraboliche, e li hanno collegati alla finitrice e al rullo con cavi e braccia meccaniche. Una volta unite insieme, le macchine si muovevano all’unisono ad una velocità di 11 piedi al minuto.
In fondo al pendio, una linea di autocarri a cassone ribaltabile alimentava una tramoggia per l'asfalto che inviava il mescolatore di asfalto riscaldato alla finitrice. Il rullo seguiva da vicino, comprimendo il composto caldo.
Inutile dire che il lavoro lento, deliberato e meticoloso ha prodotto un tracciato la cui qualità ha battuto le aspettative, con i quattro strati di asfalto che assicurano una guida fluida non solo per oggi, ma anche per le gare future.
«La superfice è veramente eccitante per tutti – ha detto Harvick – anche solo per il fatto che è veramente liscia, e garantisce una grande presa».
Tony Stewart, tre volte campione della Sprint Cup Series, è stato ancora più generoso nel libro. «Puoi letteralmente tenere in mano una tazza di caffè piena fino all’orlo e non far cadere una goccia in giro».
Una volta concluso il lavoro, tutti i tecnici impegnati si sono sentiti orgogliosi per quello che erano stati capaci di creare. «Si tratta di un’esperienza che ricorderemo per il resto della nostra vita – ha commentato il project manager John Rauer. – Dopo tutto, è Daytona, il “World Center of Racing”. E noi tutti sappiamo che Daytona è come un Super Bowl».