Utilizzare le acque reflue per produrre un ingrediente che si usa per fare la birra e l’etanolo. Succede in Irlanda, dove un’azienda ha lanciato questo innovativo processo produttivo. Cambiando continente e andando in Sud Africa, l’acqua estratta da tre miniere viene trattata all’interno di uno stabilimento e utilizzata come acqua potabile dalle popolazioni locali. Dall’altra parte del mondo, in India, i produttori di coloranti e candeggina stanno cominciando a riutilizzare i liquami di scarico e le acque reflue industriali al fine di fornire acqua pulita agli agricoltori.
Questi sono solo alcuni esempi che presentano modalità diverse per utilizzare a vantaggio delle comunità le acque reflue, il cui trattamento sta portando grandi benefici in tutto il mondo, in particolare per:
- ridurre costi;
- proteggere la salute delle persone;
- preservare l’ambiente.
In alcuni casi, come per quello della compagnia irlandese, può addirittura creare nuove opportunità di business.
Le acque reflue sono infatti acque la cui qualità è stata peggiorata a causa dell’intervento umano, attraverso il loro uso domestico, agricolo o industriale.
Secondo un rapporto realizzato dalle Nazioni Unite, le acque reflue industriali sono composte per il 99% da acqua e solo per l’1% da materiali solidi sciolti.
Il loro trattamento non è complesso, mentre quello che sembra lo scoglio più difficile da superare è invece il salto culturale che permette di far diventare il trattamento una pratica diffusa. Il rapporto dell’Onu stima che oltre l’80% delle acque reflue al mondo venga disperso nell’ambiente senza essere trattato.
Nei paesi in via di sviluppo, dove la mancanza di know-how, fondi e infrastrutture è più elevata, questo dato può raggiungere il 95%.
Si tratta di un dato preoccupante perché conferma che la gran parte dell’acqua dolce presente sulla terra rischia di essere inquinata, riducendo così la disponibilità di una risorsa preziosa che è già messa in pericolo dal riscaldamento globale e dal boom demografico.
Ma gli impatti negativi di questo fenomeno si fanno vedere anche in tema di salute e ambiente. Come riporta il “2017 World Water Development Report”, pubblicato nel marzo scorso, nel 2012 oltre 800.000 persone sono morte per aver bevuto acqua contaminata o per essersi lavate le mani con acqua sporca.
Per quanto riguarda l’ambiente, lo scarico di acque non trattate nei mari e negli oceani può privarli di ossigeno, creando delle vere e proprie zone morte. A questo proposito il rapporto parla di un’estensione di queste zone pari a circa 245.000 chilometri quadrati.
Tutto questo potrebbe rendere molto remota la possibilità di raggiungere uno dei Sustainable Development Goals inseriti dalle Nazioni Unite nella 2030 Agenda for Sustainable Development: ridurre la proporzione di acque reflue non trattate e aumentare la quantità riciclata e riutilizzata.
Il report chiarisce nello specifico quali dovrebbero essere gli obiettivi da perseguire: ridurre l’inquinamento; rimuovere gli elementi chimici che contaminano le acque; riutilizzare le acque trattate; recuperare i prodotti derivati.
«Queste quattro azioni – si legge nel rapporto – generano benefici sociali ed economici per l’intera società. Le acque reflue contengono infatti un numero di materiali utili, come metalli, sostanze nutrienti, materiali organici, che possono essere estratti e utilizzati per numerosi scopi differenti».
In termini di salute e di sviluppo è possibile calcolare in modo dettagliato i vantaggi. «Per ogni dollaro speso nell’igiene – spiega il rapporto – il ritorno per la società è di 5,5 dollari».
In giro per il mondo ci sono molti esempi virtuosi di gestione delle acque reflue. Uno di questi è in Argentina, dove Salini Impregilo sta lavorando su un progetto della Banca Mondiale per la pulizia delle acque del bacino Matanza-Riachuelo, inquinate da anni di attività industriali senza controllo. Il Gruppo sta scavando un tunnel sotto il bacino fino al fiume Plate dove verranno disperse le acque trattate dall’impianto in costruzione.
Guardando invece alle opportunità per il business, la compagnia irlandese Carbery Milk Products è divenuta leader nel suo settore trasformando un prodotto grezzo in etanolo e vendendolo al mercato per il biofuel. Studiando questo caso, il rapporto racconta come la Carbery sia riuscita a realizzare questo trattamento utilizzando il lattosio in un processo di fermentazione che si conclude con la produzione della birra, e nell’ambito di questo processo sia riuscita anche a produrre etanolo da vendere poi sul mercato.
«Tutto il bioetanolo presente in Irlanda – si legge nel rapporto – proviene da quest’unico impianto. E proprio l’Irlanda è l’unico paese in Europa a non utilizzare la canna da zucchero brasiliana per produrre etanolo».