Dal Grand Paris Express di Parigi alla metro Cityringen di Copenhagen, dallo skyline in evoluzione di Londra all’alta velocità ferroviaria verso i paesi del Nord, l’Europa sembra aver ritrovato l’amore per le infrastrutture. Grandi opere avviate in molti paesi del Vecchio Continente che diventano icone di un nuovo modo di vivere le città, interpretare la mobilità in chiave sostenibile, accorciare le distanze tra gli stati. Una ripartenza dei cantieri che ha un effetto sul giro d’affari del settore che – secondo il sito Statista – è destinato a crescere dell’1,9% nel 2019 e del 2% nel 2020.
A fronte di questa ritrovata vitalità industriale, il riflesso immediato è quello sull’occupazione.
Attualmente in Europa sono 21,1 milioni gli impiegati nel settore delle costruzioni, in crescita negli ultimi anni anche se ancora dell’11,8% inferiori rispetto al 2008.
La ripartenza è decisa ma non basta per curare del tutto le ferite lasciate dalla crisi che ha colpito in modo massiccio questo settore, più lento nella ripartenza rispetto a quanto accaduto negli Stati Uniti, in Medio Oriente o in Asia dove gli investimenti nelle infrastrutture sono cresciuti in modo massiccio negli ultimi anni.
L’Europa cammina, ma arriva con un pizzico di ritardo, e soprattutto in tema di occupazione sembra ancora in cerca di una scossa capace di modernizzare il settore. Secondo l’European Construction Sector Observatory (l’analisi sullo stato del settore realizzata dalla Commissione Europea), tra il 2008 e il 2015 è diminuita la quota di lavoratori giovani (quelli tra i 25 e i 49 anni passati dal 65,3 al 61,8%), ed è aumentata quella di lavoratori nella fascia più adulta, tra i 50-64 anni, passata dal 22,2 al 28%.
In termini di accesso alla laurea e di formazione, in media meno del 30% della forza lavoro del settore nel Vecchio Continente presenta dei livelli di competenza bassi, ma la percentuale sale in alcuni paesi come il Portogallo (71,9%), la Spagna (54%) e l’Italia (51,3%), dove la crisi delle costruzioni si è fatta sentire più che altrove.
Il caso Italia
L’Italia è uno dei paesi europei più duramente colpiti dalla crisi. Secondo quanto riporta l’Ance (l’Associazione nazionale dei costruttori) negli ultimi dieci anni sono andati persi 500mila posti di lavoro.
Complice di questa emorragia, oltre alla crisi internazionale del settore, è stato il rallentamento, e in alcuni casi il blocco, di alcuni cantieri strategici per il paese.
Oggi in Italia sono fermi progetti per un valore di 36 miliardi di euro, di cui 26 miliardi già stanziati da Anas (la società che si occupa della manutenzione delle autostrade) e Ferrovie dello Stato.
Del resto, dalla Tav Torino-Lione al Terzo Valico, la linea ad alta velocità che dovrebbe collegare Genova con Milano e con il Nord Europa, le grandi opere sono uno dei motori dell’occupazione che il paese non ha saputo sfruttare a pieno negli ultimi anni. E infatti molte delle principali aziende di costruzioni italiane vivono una profonda crisi, che in diversi casi sembra destinata a portare verso il fallimento. Negli ultimi dieci anni sono fallite 120mila imprese del settore e negli ultimi mesi cinque delle prime dieci società di costruzioni italiane hanno avviato procedure concorsuali o di ristrutturazione del debito. Tutto questo ha avuto e avrà in futuro un effetto diretto sulla forza lavoro, perché già oggi – solo nelle grandi aziende in crisi – sono 30.000 i posti a rischio.
Un grande progetto per tutelare l’occupazione
Progetto Italia è un piano di consolidamento industriale del settore lanciato da Salini Impregilo, il primo gruppo Italiano delle grandi opere, in collaborazione con le istituzioni bancarie e finanziarie del paese, per unire in un solo grande gruppo i principali player del settore. Questo processo di consolidamento industriale, che comprende ad esempio il salvataggio di Astaldi (altro big player delle grandi opere italiane), avrà un impatto benefico anche sul lavoro. Il Progetto Italia permetterà infatti di salvaguardare nel breve termine sui cantieri già avviati 70mila posti di lavoro. Nei prossimi tre anni l’impatto totale sull’occupazione (compreso l’indotto) arriverà a 500mila posti di lavoro che si stima si aggiungano a quelli esistenti.
Il mondo corre a velocità doppia
Mentre l’Italia è alle prese con uno strategico processo di consolidamento che faccia ripartire il settore e gli permetta di competere con i più grandi player internazionali, e l’Europa vive una cauta ripresa, il settore delle costruzioni nel resto del mondo cresce a ritmi elevati. Secondo l’OCSE quello tra il 2008 e il 2018 è stato un decennio d’oro per le grandi opere, con tassi di crescita annuali spesso vicini al 4%. Nel 2018 il fatturato è aumentato del 3,5%, mentre la crescita prevista per il 2019 si “ferma” ad un +3%. Il punto, secondo l’OCSE, è proprio questo: dopo un decennio di boom nei prossimi anni il settore rallenterà leggermente, soprattutto negli Stati Uniti dove si passerà da un +3 a un +2,1% al termine dell’anno in corso.
A spingere però sull’acceleratore delle grandi opere rimarranno i paesi asiatici, con la Cina in testa, dove il fatturato del settore crescerà ancora del 4% nel 2019, a conferma che le megacities cinesi non hanno nessuna intenzione di fermare il loro sviluppo.