Un accordo storico per inaugurare un’area di libero scambio nella regione meno sviluppata al mondo. È successo in Africa dove, dal Marocco al Mozambico, i leader del continente hanno siglato un patto che sarà prezioso per sostenere lo sviluppo di una popolazione che continua a crescere di numero, dando il via ad un fenomeno demografico definito dal presidente della African Development Bank, Akinwumi Adesina, “una bomba a orologeria”.
Il 21 marzo scorso, i capi di stato e di governo di oltre 40 nazioni si sono incontrati a Kigali, in Rwanda, per un summit straordinario coordinato dall’Unione Africana e in quell’occasione hanno dato vita alla African Continental Free Trade Area.
Paul Kagame, presidente del Rwanda e dell’Unione Africana, ha dichiarato che l’accordo permetterà ai paesi di ridurre la loro dipendenza dall’esportazione di materie prime e contribuirà a far crescere industrie in grado di produrre beni e servizi ad elevato valore aggiunto.
L’industrializzazione è infatti considerata da decenni fattore strategico per il futuro di questi paesi, ma continua ad essere influenzata in modo profondo dalle fluttuazioni dei prezzi delle materie prime sui mercati globali, dai dazi doganali e dallo sviluppo delle infrastrutture.
«L’integrazione economica risponde a un imperativo pratico collegato con la viabilità e i collegamenti interni al continente» ha dichiarato in un comunicato stampa Moussa Faki Mahamat, presidente della Commissione dell’Unione Africana. «La nostra gente, la nostra comunità del business e i nostri giovani, in particolare, non possono attendere oltre rispetto all’abbattimento delle barriere che dividono il continente, impediscono il suo decollo economico e lo obbligano alla miseria, nonostante l’Africa sia una terra ricca di materie prime».
I dettagli dell’accordo di libero scambio
Tutti questi limiti dovrebbero essere superati dal nuovo accordo che mira prima di tutto a una graduale riduzione dei dazi doganali tra i paesi firmatari. Attualmente le tariffe sono ad una media del 6,1% rispetto al valore del bene che supera il confine, una percentuale così alta da aver spinto per anni i paesi africani a scambiare merci con nazioni di altre parti del mondo piuttosto che tra di loro.
La Commissione Economica per l’Africa delle Nazioni Unite stima che, abbattendo le tariffe doganali sui beni importati, l’accordo potrebbe comportare un aumento del commercio interno al continente del 53,2%. Se poi si arrivasse addirittura all’annullamento di ogni genere di barriera tra uno stato e l’altro, allora lo stesso dato potrebbe addirittura raddoppiare.
Tuttavia, sebbene l’accordo sia stato siglato da un numero significativo di governi, mancano ancora alla firma le due più grandi economie africane: Nigeria e Sud Africa.
Un gap infrastrutturale da 170 miliardi di dollari
La mancanza di scambi commerciali tra i paesi africani si lega in modo molto stretto con la povertà delle infrastrutture del continente. Per diverse decine di anni, questa chiusura tra gli stati ha causato il crollo di qualunque tipo di incentivo alla costruzione di strade, ponti o altre infrastrutture anche transfrontaliere strategiche per la crescita economica.
Un esempio degli effetti nefasti della chiusura delle barriere commerciali è la Trans-African Highway, dove il completamento dei 60.000 chilometri previsti nel progetto iniziale è ancora ancora di là da venire.
Secondo i calcoli elaborati dalla società di consulenza KPMG, la conseguenza di tutto ciò è che i costi di trasporto in Africa sono in media tra il 50 e il 175% più elevati che in qualunque altra parte del mondo. Tutto questo è dovuto allo stato di abbandono delle infrastrutture esistenti e, in molti casi, alla loro totale assenza. A questo proposito, nelle scorse settimane la African Development Bank ha richiamato i governi africani alle loro responsabilità, indicando che il gap infrastrutturale del continente ha raggiunto i 170 miliardi di dollari. Una distanza che va colmata per evitare che la crescita demografica non accompagnata da opportunità lavorative diventi presto insostenibile.
Investimenti per fare crescere l’Africa
Nel 2050 la popolazione del continente raggiungerà i 2,5 miliardi di persone, il 26% della popolazione mondiale in età lavorativa. Rispetto a questo totale, 850 milioni di persone saranno in età giovanile, e l’Africa diverrà il continente con la popolazione più giovane della terra.
Forte di questo andamento, solo due settimane prima della firma a Kigali, la African Development Bank ha richiamato i paesi a maggiori investimenti sulle infrastrutture e ad altre iniziative che dovrebbero tenere in considerazione proprio i cambiamenti radicali della popolazione nel breve termine.
Il presidente della Banca, Akinwumi Adesina, ha dichiarato che la “bomba a orologeria” rischia di esplodere nei prossimi anni se nessuno interverrà in tempo. In ogni caso, con i giusti investimenti anche l’Africa potrebbe essere trasformata in un motore per la crescita.
«La buona notizia – ha dichiarato il presidente nel corso di un meeting organizzato a Abidjan, in Costa d’Avorio – è che la soluzione del problema è alla nostra portata e richiede solo nuovi investimenti».
La posizione di Adesina è stata sostenuta dal ministro delle Finanze algerino, Adberahmane Raouia che ha dichiarato: «La più grande sfida per l’Africa oggi è la creazione di posti di lavoro. È una scommessa di stabilità e una leva per trainare la crescita economica verso l'alto. Dobbiamo offrire opportunità di lavoro per le giovani generazioni in modo da convincerle così a rimanere nel nostro continente».
Una delle iniziative nate per questo è l’African Investment Forum che si terrà il prossimo novembre in Sud Africa. Il Forum metterà insieme la African Development Bank e altre istituzioni multilaterali per discutere su come incoraggiare una maggiore presenza degli investitori privati e un loro coinvolgimento in progetti mirati.
Al tavolo delle trattative, la African Development Bank si presenta con alcuni risultati positivi raggiunti negli ultimi sette anni: circa 27 milioni di persone sono state raggiunte dalla corrente elettrica; 49 milioni hanno beneficiato di novità importanti nel settore agricolo; altri 35 milioni hanno invece avuto accesso all’acqua innalzando i loro livelli di igiene. Sono conquiste importanti che tuttavia non bastano da sole per guardare con ottimismo al futuro dell’Africa.