Snello, pulito e verde: è questo il motto della Banca Asiatica d’Investimento per le Infrastrutture (AIIB), l’istituzione finanziaria nata per sostenere lo sviluppo asiatico e operativa dal mese di gennaio dopo una lunga fase preparatoria iniziata nel 2014.
Seguendo questo approccio (personale ridotto di numero ma altamente qualificato, massima trasparenza contro la corruzione, rispetto per l’ambiente), il 16 e 17 gennaio scorsi si è riunito per la prima volta il Consiglio dei governatori e il Consiglio di amministrazione, i due organi che hanno messo intorno a un tavolo i rappresentanti dei 57 membri fondatori e dei 27 Paesi che stanno completando il percorso di adesione.
La Banca Asiatica d’Investimento per le Infrastrutture nasce con l’ambizioso intento di colmare la fortissima carenza di investimenti di un continente che – nonostante il rallentamento di questi mesi – conferma comunque ritmi elevati di crescita. E infatti – secondo le statistiche di tutte le principali istituzioni finanziarie internazionali – è necessaria una pesante iniezione di risorse finanziarie per soddisfare la sete di infrastrutture del continente. La Asian Development Bank e la Banca Mondiale garantiscono solo 20 miliardi di dollari all’anno, una cifra troppo bassa per rispondere al fabbisogno di Paesi come Cina, India, Malesia, Indonesia, che assistono a un vero e proprio boom infrastrutturale. Secondo un report firmato dalla Asian Development Bank, nei prossimi cinque anni l’Asia avrà bisogno di circa 8 trilioni di dollari per rispondere al fabbisogno infrastrutturale. Solo l’Indonesia, che sta vivendo un periodo di imponente sviluppo, necessita di 230 miliardi di dollari; mentre 50 miliardi rappresentano la domanda di nuove infrastrutture che viene dalla regione del Mekong, quella che collega alcune aree di Vietnam, Laos, Cambogia e Tailandia. In tutto questo, la Cina svolge un ruolo decisivo e infatti – certifica l’Ocse – da qui al 2020 la crescita del settore dovrebbe mantenersi intorno al 7-8% annuo.
Da qui il senso di questa nuova istituzione destinata a riscrivere gli equilibri tra i soggetti impegnati a finanziarie lo sviluppo. Fino a ieri, infatti, il panorama internazionale era quasi interamente occupato dalla Banca Mondiale e dal Fondo Monetario Internazionale (sul fronte occidentale), e dalla Asian Development Bank (sul fronte asiatico). Quest’ultima venne istituita nel 1966 su iniziativa di Stati Uniti e Giappone, che ne detengono tuttora circa il 30% del capitale. La nuova Banca Asiatica d’Investimento per le Infrastrutture nasce invece su iniziativa del governo di Pechino.
A conferma di questa caratteristica, i membri non asiatici non possono superare il 25% del capitale, un limite che però non ha frenato le adesioni degli Stati occidentali. Oltre all’Italia, rientrano infatti nella lista dei fondatori anche Regno Unito, Germania, Francia, Spagna, Svizzera. Insieme a loro, moltissimi governi asiatici ma anche Mediorientali come il Qatar hanno acquisito tutti quote importanti.
Ad unire gli investitori internazionali ci sono programmi chiari che guardano esclusivamente alle infrastrutture, quindi trasporti, energia, telecomunicazioni, agricoltura, sviluppo urbano e industria in generale. E questo rappresenta un’ulteriore differenza rispetto agli obiettivi della Banca Mondiale e della Asian Development Bank, finalizzati prima di tutto alla riduzione della povertà. La finalità della Banca Asiatica d’Investimento per le Infrastrutture è invece stata spiegata nel gennaio scorso dal suo Presidente Jin Liqun. «Gli investimenti in infrastrutture – ha detto Liqun – solidi e sostenibili, porteranno a ottenere risultati di sviluppo superiori, a migliorare la qualità della vita e le capacità economiche dei cittadini asiatici, e a generare ricadute positive in altre parti del mondo».
Le parole del Presidente sono un punto di arrivo di un percorso iniziato ufficialmente il 24 ottobre del 2014 con la cerimonia di inaugurazione della banca. Un’inaugurazione formale trasformata in operativa solo in queste settimane quando l’istituto ha cominciato a far funzionare i suoi organi e a discutere sull’allocazione dei primi investimenti dal budget attuale che ha già raggiunto i 100 miliardi di dollari.
Adesso osservatori internazionali, Paesi aderenti e grandi player industriali attendono di capire dove finiranno questi denari, quali opere saranno finanziate, quali Paesi vi accederanno per primi. Intanto il mercato delle infrastrutture continua a crescere a ritmi ben più elevati del Pil mondiale, confermando che l’effetto moltiplicatore di questi investimenti può essere enorme, così come i vantaggi diretti per le comunità che ne beneficeranno.