Ileana Stigliani è professore associato di Design e Innovazione all’Imperial College di Londra e uno dei massimi esperti nello studio delle dinamiche che portano all’innovazione industriale. La prestigiosa pubblicazione internazionale “Poets & Quants” l’ha inserita tra i migliori professori italiani al mondo.
Dalla sua cattedra dell’Imperial College di Londra insegna ai manager del futuro i segreti dell’innovazione, un imperativo nel mondo di oggi anche per settori tradizionali come quello delle infrastrutture. E grazie alle sue ricerche è stata riconosciuta come uno dei migliori professori italiani al mondo, conquistandosi un posto in prima fila nella categoria delle “women in STEM”, le donne che eccellono nelle discipline scientifiche.
«Nello specifico mi occupo di scienze sociali – racconta Ileana Stigliani nel corso di un’intervista rilasciata a Webuildvalue – ma come tutte le donne in STEM mi sento una minoranza in un mondo dominato da uomini, spesso pagati meglio a parità di competenze, dove le poche donne scompaiono sullo sfondo.
Negli Stati Uniti, come nel resto del mondo, c’è una forte sensibilizzazione nei confronti delle “women in STEM”. Nel caso degli Usa, ad esempio, l’Amministrazione Obama lanciò un’iniziativa della Casa Bianca per raccontare la storia e le gesta di queste donne…
«L’iniziativa dell’Amministrazione Obama è lodevole perché ha consentito di portare alla ribalta molte “women in STEM” di successo che sono importantissimi punti di riferimento e fonti di ispirazione per le giovani generazioni».
Come si può superare la disparità di genere in questi ambiti?
«Estirpando gli stereotipi e le disuguaglianze di genere sin dalla tenera età. La cosa più preoccupante è che questi stereotipi spesso si formano già negli anni della scuola primaria, a causa di un sistema educativo patriarcale e un tessuto sociale che è ancora profondamente e pericolosamente maschilista; un mondo dove è naturale acquistare una bambola per la bambina e una macchina per il bambino o deridere il maschietto che piange perché si comporta come una ‘femminuccia’ e allo stesso tempo accettare come naturale che sia la bambina a esternare i propri sentimenti e le proprie debolezze. Per non parlare delle genderizzazione di libri di testo e giochi per bambini.
Diventa perciò fondamentale lavorare a una equa rappresentazione di figure femminili nell’ambito STEM, ad esempio portando all’interno delle classi elementari dei role models femminili, ossia figure di donne che hanno intrapreso carriere poco comuni, per mostrare alle bambine (e ai bambini) scelte di vita diverse da quelle a cui sono abituate. L’esposizione a queste esperienze al di fuori della rappresentazione femminile ordinaria aiuta gli studenti ad avvicinarsi ad ambiti poco conosciuti».
In Italia si è parlato tanto di Samantha Cristoforetti, la prima donna italiana negli equipaggi dell’Agenzia Spaziale Europea. Perché una donna nello spazio stupisce ancora così tanto?
«Perché purtroppo viviamo ancora in un mondo dove esistono “lavori da uomo” e “lavori da donna” e dove a volte le donne sono considerate “il sesso debole”. Questi sono stereotipi di genere che a volte sfociano in veri e propri pregiudizi e che spesso portano le bambine e le adolescenti a scegliere percorsi formativi e professioni socialmente accettate che le ingabbiano in una sorta di autosegregazione formativa. Un report recente di Save the Children, “Con gli occhi delle bambine”, ha messo in evidenza come già nelle scuole elementari gli stereotipi di genere mettono le bambine nella posizione di dubitare delle proprie abilità e di sottrarsi a giochi o attività percepiti come particolarmente complessi».
Dai ponti alle linee metropolitane, quanto conta oggi l’innovazione nel design applicata alle infrastrutture?
«Conta tantissimo. In particolare conta che i vari attori dell’ecosistema che ruota attorno alle grandi opere infrastrutturali collaborino per trovare soluzioni innovative, user-friendly e sostenibili».
La sostenibilità applicata all’innovazione è un valore aggiunto anche economico o solo sociale?
«La sostenibilità applicata all’innovazione è un valore aggiunto per l’economia, per la società e per l’ambiente, se si applica la logica della cosiddetta “triple bottom-line”. La grave crisi generata dalla pandemia Covid-19 dimostra chiaramente che una ripresa economica che non tenga in considerazione l’orizzonte della sostenibilità sia sociale che ambientale porterà a gravi conseguenze per il futuro».
“Webuildvalue” è un magazine dedicato al mondo delle grandi opere infrastrutturali. Un mondo dove il ruolo delle donne, soprattutto se provenienti da studi ingegneristici, cresce di giorno in giorno. Che margini ci sono perché le donne conquistino ruoli sempre di maggiore responsabilità anche nel settore delle costruzioni?
«A mio avviso bisogna affrontare anche il problema della discriminazione. Questo significa assumere e promuovere più donne, colmare il gap nella remunerazione, offrire maggiore flessibilità negli orari di lavoro. La strada è lunga, ma i margini di miglioramento sono ampi se si mettono in pratica queste iniziative».
Professoressa, a chi le chiede di cosa si occupa lei generalmente risponde: insegno ai futuri manager come risolvere i problemi. Qual è la qualità migliore per un manager chiamato ad affrontare e risolvere problemi?
«La curiosità e l’empatia. Prima di risolvere un problema è fondamentale capirne le cause determinanti. La curiosità (e l’apertura mentale ad essa collegata) è il motore primario che ci spinge a studiare un problema a fondo e a distinguerne i sintomi dalle cause. Oltre a capire cosa determina un problema, è importante anche osservarlo dal punto di vista di chi il problema lo vive in prima persona. Per far ciò ci viene in aiuto l’empatia, ossia la capacità di porsi nello stato d’animo o nella situazione di un’altra persona, ad esempio un cliente o un collega. Quando entriamo in empatia con qualcuno, ci estendiamo al di fuori di noi stessi e nel mondo di quella persona. Questo aiuta il “problem-solving” perché ci fa capire come il problema si manifesta nel lavoro e nella vita di coloro che lo vivono in prima persona e ci consente di poterlo risolvere in maniera più efficace. Non solo, ma curiosità ed empatia sono due ingredienti fondamentali della creatività, necessaria per trovare soluzioni innovative ai problemi. Coltivare queste qualità conferisce un’arma competitiva importantissima per i manager del presente ed i leader del futuro».
La sua ricerca parte dal design, quindi dall’insegnamento delle migliori pratiche utilizzate dai designer per sviluppare nuovi prodotti e servizi di successo. Come si declina questo anche nel business tradizionale?
«Innovare è diventata la parola chiave per businesses in ogni settore. Per i settori tradizionali in particolar modo, sviluppare soluzioni innovative di successo è una questione di sopravvivenza – “Innovate or die”, come direbbe Peter Drucker. L’attuale contesto socio-economico si muove a un passo tale per cui se i business tradizionali non sono in grado di re-inventarsi, verranno spazzati via da nuovi concorrenti che introducono nuovi modelli di business e tecnologie. Basti pensare all’impatto che Airbnb, Uber e Netflix hanno avuto nei rispettivi settori».
Ha dedicato gran parte della sua carriera accademica e non solo all’innovazione. Come definirebbe l’innovazione o meglio l’attitudine a innovare?
«Le persone con una mentalità innovativa sono lungimiranti, sono curiose, empatiche, pronte a testare nuove idee, non hanno paura di commettere errori, ma guardano ad essi come opportunità di apprendimento e miglioramento, sono collaborative e amanti del progresso. Ma soprattutto hanno il coraggio di osare e andare al di là dello status quo».
Lei è stata nominata dalla rivista americana Poets & Quants uno dei quattro professori italiani più bravi al mondo. Come si raggiunge questo risultato?
«Con tanta tenacia e determinazione, nonché passione per il proprio lavoro. La carriera di ogni donna è irta di numerosi, a volte troppi, ostacoli. Se si è tenaci e si crede in quello che si fa è più facile rialzarsi quando si cade e tenere duro e andare avanti nei momenti difficili».
Quanto conterà la propensione e la capacità di innovare nella rinascita italiana ed europea dopo la crisi del Covid-19?
«La pandemia è stato uno tsunami che ha portato prepotentemente alla luce problemi, inefficienze, e disuguaglianze ed ha creato nuovi bisogni, nuovi comportamenti e nuovi stili di vita. La chiave della rinascita economica sta nella capacità di trasformare i problemi in opportunità di innovazione e miglioramento. Per far questo però, come diceva Albert Einstein, “non possiamo risolvere i problemi usando lo stesso tipo di pensiero che abbiamo usato quando li abbiamo creati”. Ed è per questo che coltivare una cultura d’innovazione e applicare il Design Thinking nella risoluzione dei problemi è per le aziende oramai una necessità, non più una scelta».