Mariarosaria Taddeo
È Professore Associato e Senior Research Fellow presso l’Oxford Internet Institute dell’Università di Oxford, dove è vicedirettrice del Digital Ethics Lab. Il suo lavoro si concentra sull’analisi etica dell’intelligenza artificiale, dell’innovazione digitale, della sicurezza informatica e dei conflitti informatici. Nel 2020 Mariarosaria Taddeo è stata scelta per rappresentare il Regno Unito come membro del NATO Exploratory Team on Operational Ethics e lo stesso anno Computer Weekly l’ha nominata tra le 100 donne più influenti nella tecnologia del Regno Unito.
«Io non ho mai lavorato nei primi venti anni della mia carriera pensando di essere donna. Io ho lavorato perché volevo lavorare». Dette da una delle cento donne più influenti nella tecnologia del Regno Unito e tra le prime cento al mondo che lavorano sull’etica dell’intelligenza artificiale queste parole assumono un significato ancora più forte. Perché proprio il maggiore riconoscimento del ruolo delle donne nel mondo del lavoro e in particolare nelle materie scientifiche è una delle battaglie di Mariarosaria Taddeo, oggi Senior Research Fellow dell’Università di Oxford e vicedirettrice del Digital Ethics Lab.
«Quando sono diventata più anziana – aggiunge – e ho anche cominciato a prendere ruoli non apicali, ma più senior ho capito che c’è questo filtro che il mondo ci mette addosso. C’è una specie di specchio che ti ricorda quali dovrebbero essere i tuoi ruoli e ho imparato a farci i conti più tardi.
Poi siccome non mi interessa andavo avanti a prescindere dai pregiudizi. Il mio mondo ideale è un mondo in cui l’identità di genere diventa rilevante come la lunghezza dei capelli».
E proprio sulle materie scientifiche la professoressa Taddeo ha sviluppato la sua ricerca arrivando oggi a calcare la frontiera dell’innovazione, quella dove si progetta l’intelligenza artificiale del futuro.
Professoressa, quali sono oggi le frontiere dell’intelligenza artificiale? Dove ci stanno portando le ultime scoperte?
«L’intelligenza artificiale ha avuto una storia strana perché abbiamo iniziato a pensarci negli anni ’50. Ѐ del ’56 il primo proposal in cui si pronuncia l’espressione “intelligenza artificiale”, poi c’è stata quella che potremmo chiamare un’estate dell’intelligenza artificiale: grazie a vari fondi si è avviata una ricerca in questo contesto, ma che tuttavia si è rallentata col tempo. Quindi è iniziato un lungo inverno fino a quando nel 2012 la ricerca è ripartita e l’intelligenza artificiale è diventata quella di cui parliamo oggi. In questi dieci anni si è diffusa in maniera molto capillare al punto che ormai è nelle nostre tasche, dal cellulare, al televisore, al computer e lo sarà sempre di più.
Quando parliamo di intelligenza artificiale parliamo di una tecnologia che ci permette di capire le dinamiche della crisi ambientale e di tanti altri fenomeni, quindi di poter intervenire; ci permette di raccogliere i dati della genomica e comprendere l’origine di malattie come il cancro, il diabete e l’alzheimer e provare a curarle. Queste sono sfide che non possiamo perdere».
Quali sono le nuove opportunità che l’intelligenza artificiale aggiunge alle potenzialità delle grandi imprese? Pensiamo ad esempio nel caso di Webuild nell’ambito della costruzione di grandi opere…
«Viviamo società digitali che producono tantissimi dati. Le stime dicono che entro il 2025 in un solo giorno saranno prodotti dati in grado di riempire 200 milioni di dvd. Questi dati non sono importanti di per sé, sono importanti se li possiamo leggere perché sono una fotografia della realtà. Senza l’intelligenza artificiale non possiamo leggere questi dati. La grande opportunità che l’intelligenza artificiale ci dà è quella di approfondire la complessità dell’ambiente che sta intorno a noi.
Se c’è un’azienda multinazionale che ha un indotto di migliaia di aziende in tutto il mondo gestire crisi ecologiche, crisi pandemiche, banalmente fusi orari, percorsi di procurement, attivita complesse, ecco poterlo fare avendo una lettura di queste dinamiche approfondita è un vantaggio enorme.
Nelle infrastrutture ad esempio i processi di costruzione sono processi lunghi che richiedono grandi calcoli e l’intelligenza artificiale ci aiuta in quella direzione e ci permette di essere più efficienti e più efficaci.
Quali sono invece i rischi maggiori che derivano dal ricorso all’intelligenza artificiale?
«Una delle questioni aperte riguarda sicuramente i suoi effetti sul mondo del lavoro. Tuttavia, le analisi sull’impatto dell’intelligenza artificiale sul mondo del lavoro vanno prese cum grano salis perché sono talmente tante le variabili che rientrano in questo scenario che è difficile fare una proiezione.
Io penso che questa leva dell’intelligenza artificiale sul mondo del lavoro sia una leva importante perché sarà uno dei canali attraverso cui la digitalizzazione trasformerà ancora di più la società di domani. Ci saranno dei lavori che saranno diversi, non voglio dire in cui gli esseri umani saranno sostituiti, ma in cui la loro funzione sarà differente».
Quali sono i paletti (se esistono) che è necessario porre alle nuove scoperte in tema di innovazione digitale?
«L’innovazione è sempre un po’ un’arma a doppio taglio. Pensiamo alla bomba atomica e all’energia nucleare. Io non credo che ci sia una questione di limiti da porre ex-ante, cioè di cose che non dobbiamo fare a prescindere, che sono cose immorali. Penso che invece ci voglia un occhio vigile che sia in grado di indirizzare il processo di innovazione man mano che succede.
Nelle nostre società la tecnologia e l’innovazione digitale sono diventate un elemento strutturante, ci chiamiamo società digitali perché non possiamo prescindere da questi servizi. È come se, io dico sempre, il digitale fosse diventato una infrastruttura della realtà in cui viviamo».
In che modo secondo lei un uso consapevole dell’intelligenza artificiale può cambiare il mondo delle infrastrutture? A partire dalla fase progettuale?
«Immaginiamo un palazzo in cui intelligenza artificiale ci permette di capire l’uso corretto della corrente elettrica, la variazione delle temperature, e da questi dati ci aiuta a gestirli. In sostanza rende la vita non solo più facile ma anche più sostenibile. E allo stesso modo immaginiamo strade che possiamo sensorizzare e di cui possiamo monitorare i dati costantemente per manutenerle. Pensiamo alle smart cities, in cui i sensori sono distribuiti in maniera intelligente e l’intelligenza artificiale ci permette di usare tutti i dati raccolti per migliorare infrastrutture, servizi e manutenzione. Non accadrà tra sei mesi, ma tra dieci anni io non oso immaginare chi vorrà costruire un quartiere intero, un ponte, una strada senza poterne poi leggere o riceverne i dati per poi guidarne l’uso in modo efficiente e sostenibile».