Agli inizi del Novecento, quando tutta l’Europa veniva alimentata dal carbone, l’acqua ha cominciato a essere il carburante della crescita italiana. Regioni come il Piemonte, il Trentino-Alto Adige, la Lombardia, il Veneto hanno scoperto un passo alla volta che le riserve idriche assicurate dalle montagne erano una risorsa incalcolabile e che, se ben gestite avrebbero potuto diventare un formidabile acceleratore di sviluppo.
Sono nati così i progetti di costruzione delle grandi dighe italiane, molte di queste realizzate in luoghi impervi, tra montagne alte duemila metri con tecniche costruttive già avanzate per l’epoca. È la storia, per esempio, della Diga di Morasco che si trova in Piemonte, a 1.815 metri di altitudine. Nata su commissione di Edison, l’impianto fu realizzato per la produzione di energia elettrica nella sottostante centrale di Ponte, in Val Formazza, tra 1936 e il 1940 da un’azienda poi confluita nel gruppo oggi Webuild.
I lavori di costruzione della Diga di Morasco – alta 50 metri con invaso di 19 milioni e 380mila metri cubi – si svolsero esclusivamente nei mesi estivi perché il clima troppo rigido non permetteva al tempo di lavorare nel periodo invernale. L’energia prodotta grazie a questo impianto sarebbe stata negli anni essenziale contributo non soltanto all’industrializzazione della valle ma anche allo sviluppo industriale della città di Milano.
Ad un’altezza di duemila metri sul confine tra l’Italia e la Svizzera sorge anche la Diga della Val di Lei, che consente la produzione di energia per tutto il cantone svizzero dei Grigioni. Realizzata sempre da aziende confluite poi in Webuild, con una lunghezza di coronamento di 690 metri al momento della sua inaugurazione, nel 1959, era la più ampia del mondo.
Dall’inizio del Novecento, passando per gli anni della ricostruzione post-bellica a oggi, le dighe sono divenute acceleratori di progresso alimentando la crescita italiana. Un ruolo che mantengono ancora oggi, in una congiuntura complessa dove i cambiamenti climatici e la conseguente siccità stanno rendendo l’acqua sempre più scarsa e sempre più preziosa.
La catena dell’acqua
Il 2022 così come il 2023 sono stati anni di siccità. E il 2024 non sembra essere da meno. Lo scorso anno – secondo quanto riportato dal Cima (Centro Internazionale Monitoraggio Ambientale) – il deficit di neve sulle Alpi è stato pari al -69% rispetto alla media degli ultimi dodici anni.
Il 2024 è stato poi segnato da un altro allarme preoccupante. Per la prima volta l’Osservatorio dell’Autorità di Bacino Alpi Orientali ha dichiarato lo stato di severità idrica media (ovvero quando l’acqua inizia a scarseggiare) già dal mese di febbraio, quando generalmente viene dichiarato non prima del mese di aprile. L’inverno passato è stato avaro di precipitazioni e la poca neve si è sciolta già in primavera, lasciando l’estate senza una adeguata riserva idrica. Meno neve significa naturalmente meno acqua, quindi fiumi più scarichi e coltivazioni agricole in difficoltà.
In Lombardia, riportano le statistiche, la risorsa idrica stoccata è inferiore del 60% rispetto alla media degli ultimi anni. L’acqua è poca e quella che c’è va gestita bene.
Idroelettrico in Italia: il motore per l’energia green
La disponibilità di acqua è un elemento essenziale per far marciare gli impianti idroelettrici italiani, a oggi prima fonte di energia pulita del Paese, responsabili in media del 15% dell’energia prodotta in Italia. L’Ispi (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale) ha calcolato che nel corso del 2024 la produzione di impianti idroelettrici non supererà i 27,7 TWh, lo stesso risultato del 2023 ma significativamente inferiore rispetto al 2021 (48,3 TWh) e agli anni precedenti quando la media si era attestata intorno ai 49 TWh.
La scarsità di acqua e quindi la riduzione dell’attività degli impianti comporta che la quota di idroelettrico sul totale di energia prodotta in un anno in Italia si sia assottigliata fino ad arrivare al 9%. Di conseguenza anche la percentuale totale di energia green sulla produzione energetica italiana è passata dal 35 al 30%.
I dati dimostrano come il rallentamento dell’idroelettrico equivalga a un arretramento del paese in tema di sostenibilità, ma anche nell’obiettivo che molti paesi europei si sono dati di raggiungere le emissioni zero entro il 2050.
Solo gli investimenti possono fornire una risposta a questo problema. The European House – Ambrosetti calcola che l’Italia dovrebbe destinare al settore 48 miliardi di euro, risorse necessarie per modernizzare gli impianti esistenti e costruirne di nuovi. È questa la strada da percorrere, quella di sfruttare al meglio e in modo sostenibile l’acqua, una risorsa che va protetta non solo per l’ambiente ma anche per lo sviluppo del paese.