Tongariro Power Scheme, la storia dei pionieri italiani che portarono l’elettricità in Nuova Zelanda

Negli anni ’60 del secolo scorso il meglio delle maestranze italiane ha partecipato alla realizzazione di uno dei più grandi impianti idroelettrici del paese oceanico

Partire dall’Italia per raggiungere il capo opposto del mondo. Un viaggio ancora più lungo se compiuto nel 1967, quando un nutrito gruppo tra le migliori maestranze del paese si trasferì in Nuova Zelanda, Isola del Nord, per prendere parte alla costruzione del Tongariro Power Scheme, tra i più grandi progetti idroelettrici della nazione. Tre appalti di quest’opera furono infatti affidati al consorzio italiano Codelfa – Cogefar, specializzato in grandi opere infrastrutturali e in particolare nel tunnelling.

Considerata sin da subito una delle sfide ingegneristiche più ambiziose per quel quadrante di mondo, la costruzione del mega progetto di Tongariro (tre impianti idroelettrici) necessitava di tunneler esperti e di varie altre maestranze specializzate che, però, la Nuova Zelanda non disponeva a sufficienza. Per questa ragione, Codelfa e Cogefar ritennero che servisse l’expertise consolidata dei migliori tecnici, ingegneri e operai italiani riuscendo ben presto a ottenere dal governo neozelandese il via libera al loro ingresso nei cantieri.

Le due aziende italiane inoltre credevano che il successo del progetto dipendesse anzitutto dal benessere dei lavoratori. E non a caso, oltre alle figure di cantiere, dall’Italia arrivarono anche addetti alle cucine e vari cuochi che – a proposito di attenzione alle persone – erano i lavoratori più pagati della commessa. Di questa storia ne ha parlato lo storico neozelandese David Simcock sulla rivista accademica “New Zealand Journal of History”: «La paga oraria di un cuoco era di 1 dollaro e novantasei centesimi, un solo centesimo in meno rispetto alla figura più importante del cantiere, ossia il responsabile dello scavo dei tunnel». Il consorzio riuscì persino ad avere l’autorizzazione a far importare – nonostante le restrizioni doganali – cibo e bevande italiane per le mense dei campi base.

L’accesso di uno dei tunnel costruiti per l’opera (Courtesy of Webuild Image Library)

Un’impresa fuori dal tempo

Il progetto di Tongariro prevedeva la deviazione di dozzine di fiumi e torrenti attraverso la costruzione di una vasta rete di condutture, acquedotti e tunnel sui fianchi di tre montagne vulcaniche nel remoto altopiano centrale dell’Isola del Nord. Un’impresa davvero fuori dal tempo. Le acque sarebbero state incanalate nei bacini di varie dighe per generare elettricità prima di sfociare nel lago Taupo; e la potenza dei fiumi provenienti da più di 2.600 chilometri quadrati di territorio sarebbe stata sfruttata deviando sottoterra gran parte del loro percorso.

L’opera nel suo complesso fu completata nel 1983 con un impatto enorme sulle politiche energetiche del paese, perché ancora oggi il Tongariro Power Scheme assicura circa il 4% della produzione elettrica totale della Nuova Zelanda, coprendo il fabbisogno di 160.000 famiglie.

I segreti di un record mondiale

Dei tre tunnel scavati da Codelfa e Cogefar, il più lungo è il Moawhango-Tongariro, costruito sul fianco orientale delle montagne e ancora oggi tra i tunnel idroelettrici più lunghi dell’emisfero meridionale. Proprio per la sua lunghezza, questo tunnel aveva costretto gli operai a scavare partendo dalle sue estremità opposte per poi ritrovarsi al centro. Il fatto che siano riusciti a incontrarsi nel punto previsto dal progetto senza l’uso di laser, computer o sistemi di posizionamento satellitare, dimostra l’abilità ingegneristica delle persone che presero parte alla realizzazione di quest’opera. Questa abilità ha inoltre consentito ai tunneller italiani di superare le difficili condizioni del terreno vulcanico, altamente instabile e in molte parti sommerso da acque sotterranee che si riversavano nelle gallerie.

A volte, le condizioni di lavoro nei cantieri di Tongariro erano così estreme che i progressi giornalieri nello scavo raggiungevano appena 60, 90 centimetri. Tutte queste sfide sono state raccontate da alcuni documentari realizzati in quegli anni e anche da una vecchia pubblicazione di Codelfa-Cogefar nella quale si legge che “a causa delle condizioni costantemente variabili, lo scavo con macchine è stato scartato e sono stati utilizzati scavi convenzionali con perforazione. Il ciclo di perforazione è stato quindi eseguito con quattro perforatrici da roccia. Le caratteristiche del terreno e i grandi afflussi d’acqua incontrati in entrambe le sezioni hanno richiesto un alto livello di abilità individuale e grande perseveranza da parte delle maestranze”. Inoltre, si legge ancora, “i grandi afflussi d’acqua incontrati in entrambe le sezioni hanno richiesto un alto livello di abilità individuale e grande perseveranza da parte delle maestranze”. La pubblicazione riporta anche che “grazie all’esperienza e all’applicazione quotidiana delle maestranze, questo tunnel può essere ricordato per aver smentito la statistica generalmente applicata di una vittima per miglio (1,6 km): nessuna vita è stata infatti persa per tutta la durata dei lavori”.

Da Tongariro a Snowy 2.0, l’eredità italiana

Oltre alla Nuova Zelanda, Codelfa e Cogefar hanno realizzato grandi opere anche in Australia dove, tra l’altro, sono stati i contractor per il tunneling della Melbourne Underground Rail Loop (una delle linee metropolitane di Melbourne) e contribuito alla costruzione del Wivenhoe Power Scheme, un imponente impianto di pompaggio idroelettrico nello stato del Queensland. A distanza di molti anni, la loro eredità è stata raccolta da Webuild (in cui Cogefar è poi confluita) e che oggi è impegnata in alcuni tra i più sfidanti progetti australiani tra cui Snowy 2.0, il più grande impianto di energia rinnovabile della storia australiana.