Dai musei alle città: quando l’arte diventa urbana e cambia i panorami

Dal Dito di Cattelan a Milano al The Bean di Chicago fino alle nuove installazioni a piazza Venezia a Roma, le opere site-specific riscrivono i volti delle metropoli

Possono essere dissacranti come il L.O.V.E. (conosciuto da tutti come “il Dito di Cattelan”) di fronte alla Borsa di Milano; variopinte come le sculture di Koons a Bilbao; grandiose come il Cloud Gate di Anish Kapoor a Chicago. Creazioni differenti che nascono tutte da una comune ambizione: diventare espressioni di arte urbana uscendo dai musei e stando a contatto tra la gente; simbolo di una migrazione culturale che l’arte ha vissuto negli ultimi cinquant’anni.

È questo il senso delle opere pubbliche site-specific, frutto della sensibilità di artisti ma anche di imprese e pubbliche amministrazioni che hanno cominciato a immaginare l’arte e le sue espressioni come elementi di riqualificazione urbana e occasioni per arricchire il territorio. E così, fin dalle prime esperienze, gli effetti di questa migrazione dalle sale dei musei alle piazze sono stati profondi e hanno concorso da un lato a rafforzare le identità dei luoghi dove queste opere sono state realizzate e, dall’altro, a diventare esse stesse simboli delle città che le ospitano.

Il Dito e la lezione di Cattelan

“Libertà, Odio, Vendetta, Eternità”. È questo il significato dell’acronimo L.O.V.E., nome della scultura di Maurizio Cattelan (alta 4 metri e 60), realizzata in marmo di Carrara e collocata al centro di Piazza Affari di fronte a Palazzo Mezzanotte, sede della Borsa di Milano. Il Dito, come comunemente viene chiamata l’opera, raffigura il dito medio di una mano, alzato mentre le restanti dita sono mozzate. Per molti la creazione di Cattelan rappresenta un saluto fascista trasformato in un gesto irriverente che dovrebbe da un lato ispirarsi all’architettura del Ventennio di Palazzo Mezzanotte e dall’altro al mondo della finanza e alla sua avidità.

Inaugurata il 24 settembre del 2010, quest’opera inizialmente avrebbe dovuto rimanere in piazza solo per una settimana, ma proprio per la sua capacità di integrarsi in quel contesto, fin dai primi giorni si iniziò a parlare di una sua collocazione permanente tanto che il suo autore scrisse una lettera all’allora assessore alla Cultura del Comune di Milano ribadendo che «il progetto è stato realizzato per Piazza Affari e lì deve rimanere».

Così come a Milano, anche a Chicago l’idea di arricchire un luogo iconico della città, il Millennium Park, è nata dall’incontro tra la volontà dell’amministrazione pubblica e l’interesse di un collettivo di artisti. Nel 1999 è stato lanciato un contest aperto a 30 artisti per immaginare un’opera che potesse essere integrata nel parco e capace di rappresentare l’anima vitale della città. Alla fine, fu selezionato il progetto dell’artista indiano, naturalizzato britannico, Anish Kapoor che porta il titolo di Cloud Gate, ma conosciuto da tutti come The Bean, un’enorme sfera di forma arcuata simile a una goccia di mercurio ripiegata su sé stessa, nella quale viene riflessa e distorta l’immagine dello skyline di Chicago. The Bean, inaugurata nel 2006, è diventata uno dei simboli della città e tra le sue principali attrazioni turistiche.

Dietro la nascita di queste creazioni artistiche c’è la convinzione che l’arte urbana contemporanea sia per tutti, un messaggio che tanti artisti hanno voluto comunicare proprio scegliendo le strade, i parchi e le piazze per esporre. Le opere site-specific sono infatti pensate per un preciso contesto ambientale, culturale e sociale; nascono dal dialogo con quei luoghi e le loro comunità diventando parte attiva nel processo di trasformazione del paesaggio urbano.

Gli esempi di arte urbana a Roma, da Kentridge agli artisti di piazza Venezia

Nel 2016 Roma è stata protagonista di uno dei più ambiziosi progetti site-specific degli ultimi anni, quando l’artista sudafricano William Kentridge ha realizzato un murales lungo 550 metri sui muraglioni che costeggiano le rive del fiume Tevere: Triumphs and Laments, 80 figure della mitologia romana alte 10 metri l’una che si susseguono. Nessun uso di vernici o di pittura ma solo l’opera di rimozione selettiva (con idropulitura) della patina biologica accumulata sui muraglioni di travertino nel corso degli anni.

Questa creazione, che è stata anche l’opera pubblica più grande mai realizzata da Kentridge, è poi sparita totalmente nell’arco di cinque anni proprio come era stato previsto dall’artista. «Triumphs and Laments non è mai stato pensato come un monumento eterno, la sua sparizione – ha spiegato Kentridge – è parte del suo significato sulla scomparsa della memoria. Ma la speranza è che altre memorie prendano il suo posto».

E proprio le memorie di Roma, unite al fascino del suo passato e al desiderio di futuro, prendono adesso forma in un altro ambizioso progetto di arte urbana pubblica: il progetto Murales, sostenuto dal consorzio di imprese guidato da Webuild e Vianini Lavori che sta costruendo la Linea C della metropolitana di Roma. A Piazza Venezia, nel cantiere simbolo di questa maxi opera, fino al 2026 si alterneranno sei artisti dal profilo internazionale con opere allestite sui silos industriali del cantiere e dalle dimensioni maxi: 10 metri di altezza, 64 di lunghezza e una superficie di 640 metri quadrati.

Il progetto Murales è stato inaugurato il 16 dicembre 2024 con la prima opera chiamata Costellazioni di Roma dell’artista Pietro Ruffo. Da quel momento, Piazza Venezia è divenuta un grande museo a cielo aperto e il cantiere un’attrazione cittadina da raggiungere per ammirare le nuove opere che, proprio come la metropolitana, promettono di cambiare il volto della città.